Quando parliamo di “influenza”, tutti pensiamo ad una malattia contagiosa, infettiva e originata da particolari virus. Se, tuttavia, al termine influenza aggiungiamo parole come “asiatica”, lo scenario è completamente diverso, perché ad essa associamo un quadro pandemico e tutti, nel corso dell’ultimo periodo, abbiamo purtroppo riscoperto il significato della parola “pandemia”.
L’influenza asiatica si sviluppò a causa del virus “H2N2”, virus che inizialmente si diffuse in un gruppo di anatre selvatiche, per poi passare, nel 1957, a colpire gli esseri umani in Cina. La popolazione che si ammalò maggiormente fu quella dei giovani, di età compresa tra i 6 e i 15 anni, mentre gli anziani ne furono quasi immuni grazie agli anticorpi sviluppati dopo le pandemie precedenti, come ad esempio l’influenza spagnola.
L’asiatica presentava sintomi molto simili a quelli di una normale influenza stagionale: febbre, mal di gola, tosse, costituirono i segnali con cui più frequentemente si manifestò, con la differenza che per recuperare e guarire non bastavano pochi giorni, ma diverse settimane. La pericolosità della malattia fu determinata dalle possibili complicazioni, che consistevano nello sviluppo di polmonite o insufficienze cardiache, spesso fatali per coloro che ne venivano colpiti. Dopo l’iniziale diffusione in Cina, avvenuta nei primissimi mesi del 1957, l’influenza asiatica si propagò, già dall’aprile dello stesso anno, a Singapore e ad Hong Kong, per poi proseguire in Africa, il primo continente dopo l’Asia ad essere contagiato, e quindi in Sud America. Per quanto riguarda i singoli Stati, in Europa, il paese ad essere più colpito fu il Regno Unito, mentre, nel mondo, furono gli Stati Uniti d’America a far registrare il maggior numero di decessi, tra i 70.000 e i 116.00.
In Italia l’influenza asiatica arrivò molto prima delle classiche influenze stagionali. I primi casi, infatti, vennero riscontrati nel meridione, in piena estate, con Napoli, la città maggiormente colpita, che ad agosto vide un terzo dei suoi cittadini colpiti dal virus. A favorire la propagazione della malattia in tutta la penisola contribuirono i soldati di leva che, tra licenze, esercitazioni e parate, si muovevano per tutto il Paese. Al termine della pandemia, avvenuto nel 1958, in totale si registrarono 26 milioni di italiani contagiati, 30 mila circa i deceduti di cui 20 mila furono militari.
Nonostante i dati a livello mondiale e nonostante il virus “H2N2” fosse riuscito a colpire un terzo della popolazione mondiale, confrontata con le pandemie precedenti, l’asiatica fece un numero di vittime minore: la mortalità fu contenuta attestandosi su un tasso del 0,4%, pari a circa due milioni di morti in tutto il pianeta. Per il contenimento della malattia e dei decessi fu determinante l’innovazione scientifica in campo medico: nel 1957, nell’Istituto di microbiologia di Wright-Fleming di Londra, venne prodotto un vaccino che limitò e rallentò gli effetti dell’epidemia in modo significativo, anche se non riuscì a debellarla.
Infatti, dopo la prima diffusione nel 1957, il virus H2N2 si sviluppò in una nuova forma, il H3N2, provocando una seconda ondata di epidemia, tra il 1968 e il 1969. Questa seconda ondata pandemica è nota con un duplice nome: come influenza spaziale, dato che, negli anni in cui si verificò, fu conquistata la luna da parte dell’uomo, e come influenza di Hong Kong, in quanto prima città al mondo a registrare il nuovo virus. La pandemia causata dal virus H3N2 determinò un numero di vittime anch’esso inferiore a quello delle pandemie precedenti, registrando circa 1 milione a livello mondiale. Dopo le due ondate del 1957 e del 1968, il virus dell’ asiatica ha progressivamente perso il suo carattere aggressivo: da causa di pandemie è diventato causa di normali influenze.
Giovanni Miceli